« La mia prima lettura del mattino sono le cartelle della Stefani. Inoltre io vedo Morgagni sovente e volentieri. »

Benito Mussolini

mercoledì


“Evviva Mussolini”. Poi un colpo di rivoltella Manlio Morgagni, giornalista, sansepolcrista, direttore dell’agenzia Stefani, fu amico fidato del Duce In quella notte del 25 luglio 1943, preferì darsi la morte che continuare a vivere senza l’uomo che aveva scelto come suo capo

Manlio Morgagni (Forlì, 3 giugno 1879 – Roma, 26 luglio 1943) è stato un giornalista italiano, fratello di un altro noto giornalista, Tullo, l'ideatore del Giro d'Italia.
Dapprima socialista sindacalista, nel 1914 si era schierato a favore dell'intervento nella prima guerra mondiale. Iniziò l'attività giornalistica nel quotidiano Il Popolo d'Italia, fondato da Benito Mussolini, di cui Morgagni rimase sempre grande ammiratore.
Successivamente divenne direttore amministrativo del quotidiano (15 novembre 1914-1919). Nel 1919, l'incarico passò ad Arnaldo Mussolini, mentre Manlio si dedicò alla raccolta pubblicitaria.
A Milano fu consigliere comunale (1923-1926) e vicepodestà (1927-1928), nonché presidente della Commissione per l'abbellimento della città. Fu cofondatore, con Arnaldo Mussolini, e direttore, della Rivista illustrata del Popolo d'Italia; fondò la rivista agraria Natura (1928).
È soprattutto noto come presidente e direttore generale dell'Agenzia Stefani, che riuscì a potenziare dandole importanza anche internazionale. Amico, ammiratore e fedelissimo collaboratore di Benito Mussolini, alla notizia dell'arresto del Duce, si tolse la vita lasciando il seguente messaggio indirizzato a Mussolini :
Mio Duce! L'esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un'invocazione per la salvezza dell'Italia. Morgagni.
Al Cimitero Monumentale di Milano gli è dedicato, col fratello, un artistico monumento funebre su cui spicca l'epigrafe dettata dallo stesso Mussolini

Spesso viene citato, come unico, il caso di Manlio Morgagni, che si suicidò. In effetti, non si escludono  altri casi,  dall’ 8 settembre e al 25 aprile. Per esempio, quello del Capitano Mario Vicini, Commissario provinciale dell’Associazione Combattenti di Milano, che fece pervenire, prima del tragico gesto, questo messaggio a Vincenzo Costa, Federale della città: “Non so resistere a queste tremende ore in cui tutto il nostro passato di soldati e di cittadini vien stravolto dai negatori dell’onore della Patria. I traditori e i vigliacchi hanno oggi la rivincita ed io non so resistere a tanto sfacelo. Ho servito sempre la Patria e l’Idea con purezza. Certamente tu raggiungerai il duce mentre io resterò qui con la mia compagna e con il mio immenso dolore”.
(in: Vincenzo Costa, “L’ultimo federale”, Bologna 1997)


QUI NEL SONNO SENZA RISVEGLIO
RIPOSA MANLIO MORGAGNI
GIORNALISTA PRESIDENTE DELLA STEFANI
PER LUNGHI ANNI UOMO DI SICURA INTEGRA FEDE
NE DIEDE MORENDO TESTIMONIANZA
NEL TORBIDO 25 LUGLIO 1943

Grande ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 11 giugno 1936 Grande ufficiale dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia Decorato del I° grado dell'Ordine della Corona di Jugoslavia (1939)

Onorificenze :
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia — 24 aprile 1935

Grand'Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro — 11 giugno 1936

Grande ufficiale dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia

QUEL COLPO DI PISTOLA NELLA NOTTE DEL 26 LUGLIO COSI' SI UCCISE MANLIO MORGAGNI, "SANSEPOLCRISTA" FEDELISSIMO 

Amico personale di Mussolini dai tempi dell'interventismo, era Presidente e Direttore dell'agenzia "Stefani"; non resse al tradimento dei gerarchi del Gran Consiglio del Fascismo.

Enzo Cavaterra

Nella notte del 26 luglio 43, qualcosa era cominciato a morire nel cuore di molti, conosciuto che ebbero l'"autodafé" delle più alte gerarchie del regime fascista. Ma per uno, per uno soltanto degli innumerevoli delusi, rabbiosi e sconcertati, quella fu anche l'ultima notte della sua vita. Il gesto assurdo di Manlio Morgagni, è di lui che si parla, è il più cogente e sconcertante esempio di quel diffuso stato d'animo e di quei sentimenti sulla soglia dell'abisso della disperazione che andavano dilagando col trascorrere delle ore di quella notte ormai vicina all'alba, un'aurora che lui più non avrebbe conosciuto. E per decisione propria, la più radicale: il suicidio.

Manlio Morgagni era di ottima famiglia romagnola, fratello di un ufficiale pilota morto in combattimento durante la prima guerra mondiale. Era stato uno dei così detti "fascisti della prima ora". Amico personale di Benito Mussolini sin dai tempi eroici dell'interventismo, partecipò alle riunioni milanesi dalle quali scaturì il Movimento dei Fasci italiani di combattimento e pertanto fu uno dei "sansepolcristi", come furono definiti i partecipanti all'assemblea ambrosiana in piazza San Sepolcro e come tale partecipò alla Marcia su Roma.
Uomo di grande valore morale e pratico, di specchiata onestà e di profonda dedizione ma dal carattere schivo, Manlio Morgagni prestò la sua opera per lunghi anni all'ombra del Duce, che sempre gli concesse la più ampia fiducia, peraltro 

ampiamente meritata. Fu dapprima Direttore amministrativo del Gruppo editoriale de "Il Popolo d'Italia", quindi Presidente e direttore responsabile dell'Agenzia di stampa nazionale "Stefani", dalla quale ebbe la notizia, per lui sconvolgente e ferale, del voto del Gran Consiglio del Fascismo. Quando ne ebbe conferma nella sua abitazione romana di via Nibby, vergò la sua ultima lettera a Mussolini e poi portò a compimento il gesto disperato e sacrificale, sparandosi un colpo di pistola alla testa.

Quelle poche righe scritte con una grafia, che nei suoi stessi segni devastati dà tutta la misura della vertigine dell'abisso in cui era precipitato e del deserto del cuore che ormai percepiva in tutta la sua profondità senza rimedio.


12 FEBBRAIO 1929
Ore 12,30. L'«Agenzia Stefani» comunica: « Oggi, alle ore 12, nel palazzo apostolico Iateranense, sono stati firmati da S. E. Rev. il Card. Pietro Gasparri, plenipotenziario del Sommo Pontefice Pio XI e da S. E. il Cav. Benito Mussolini, Primo Ministro e Capo del Governo, pl.....


L'AGENZIA STEFANI
E' stata la prima agenzia di stampa italiana, fondata da Guglielmo Stefani il 26 gennaio 1853. 
Alcuni cronisti della Stefani nella redazione di Roma. In primo piano, al centro, il presidente Manlio Morgagni
La Telegrafia privata - Agenzia Stefani venne fondata il 26 gennaio 1853 a Torino da Guglielmo Stefani, veneziano direttore della Gazzetta ufficiale del Regno di Sardegna, con l'appoggio di Camillo Benso, conte di Cavour.
Sotto il governo Cavour, l'agenzia ottenne grandi vantaggi con l'elargizione di fondi segreti (poiché lo Statuto vietava privilegi e monopoli ai privati), mentre la stampa radicale subì restrizioni sulla libertà di informazione. Così l'agenzia Stefani, assumendo connotati quasi monopolistici, divenne uno strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna. 
Dopo la morte di Guglielmo Stefani, avvenuta nel 1861, l'agenzia strinse rapporti di collaborazione con l'agenzia britannica Reuters e con la francese Havas. Quest'ultima, prima agenzia di stampa al mondo e, all'epoca, in condizione di forte predominio, acquisì il 50% dell'agenzia Stefani nel 1865.
Fonte di informazione ufficiale del governo sabaudo, la "Stefani" seguì i vari trasferimenti della capitale d'Italia, da Torino a Firenze nel 1865 e da Firenze a Roma nel 1871. 
Nel 1881 la direzione venne assunta da Ettore Friedländer, destinato a rimanervi per 37 anni. Sotto la guida di Friedländer l'agenzia fu permanentemente vicina al governo, aiutando fortemente a smorzare i toni della stampa durante le controverse vicende che si svolsero in quell'epoca; dalla disastrosa guerra d'Africa allo scandalo della Banca Romana, dai moti popolari del 1898 alla strage milanese di Bava Beccaris, dalle azioni repressive del governo Pelloux all'assassinio di Umberto I, dalla guerra di Libia ai disinvolti mutamenti d'alleanze internazionali che precedettero la prima guerra mondiale.
Nell'ultimo decennio del XIX secolo, Francesco Crispi si fece promotore della rottura con la Havas, accusata di diffondere notizie false o tendenziose, atte a favorire la politica estera della Francia. Fu così siglato un accordo di mutuo scambio con la tedesca Continentalen, con l'austriaca Correspondenz-Bureau e con la Reuter, in modo tale da consentire ai vari governi di controllare e censurare, se del caso, le notizie da e per l'estero.
Durante la prima guerra mondiale fu concessa all'agenzia Stefani l'esclusiva per la diffusione dei dispacci dello Stato maggiore dell'Esercito e, nel 1920, fu stipulato un accordo con il governo che le affidava il compito di distribuire le informazioni ufficiali alla stampa, ai prefetti e agli uffici governativi. In esecuzione dell'accordo, le nomine del direttore e dei principali corrispondenti esteri, da quel momento furono sottoposte al placet del governo. L'anno seguente venne stipulato un nuovo accordo con la Havas che consentiva l'accesso alle informazione provenienti dagli Stati Uniti e dall'America latina, grazie al collegamento via cavo realizzato tra New York e Parigi.
Dopo l'ascesa al potere del fascismo, Mussolini si accorse della potenziale utilità di un simile strumento e l'8 aprile 1924 pose l'agenzia Stefani sotto il controllo del sansepolcrista Manlio Morgagni che, in breve tempo, la trasformò nella voce del governo in Italia e all'estero.
« La mia prima lettura del mattino sono le cartelle della Stefani. Inoltre io vedo sovente Morgagni e volentieri. »
(Benito Mussolini)

Nel 1924 poteva contare sul 14 sedi italiane, 160 corrispondenti dall'Italia e 12 dall'estero che riuscivano quotidianamente a "lavorare" una media di 165 dispacci in arrivo e 175 in partenza. Durante la gestione di Morgagni l'agenzia conobbe un enorme sviluppo, tanto che nel 1939, le sedi italiane erano 32 e 16 quelle estere, con un organico di 261 corrispondenti in Italia e 65 all'estero che ogni giorno sbrigavano una media di 1.270 dispacci in arrivo e 1.215 in partenza.
Avuta notizia dell'arresto di Mussolini, il 26 luglio 1943, Manlio Morgagni si tolse la vita.

La RSI e l'ANSA 
Con l'avvento della Repubblica Sociale Italiana l'agenzia Stefani divenne proprietà dello Stato e la sede venne spostata a Milano, sotto la direzione di Luigi Barzini senior. Il suo ultimo direttore, Ernesto Daquanno, venne fucilato a Dongo insieme ai gerarchi che accompagnavano Mussolini.
Disciolta il 29 aprile 1945, la struttura tecnica e organizzativa della "Stefani" venne di fatto utilizzata dalla neonata ANSA. La testata fu assegnata in proprietà all'Ordine dei giornalisti e ha ripreso le pubblicazioni nel 2005, come settimanale di informazione edito dall'Ordine dei giornalisti di Bologna.

Dirigenti
• dal 1853 al 1861: Guglielmo Stefani 
• dal 1861 al 1865: Raimondo Brenna 
• dal 1865 al 1873: Carlo Michele Buscalioni 
• dal 1873 al 1881: Girolamo Stefani (Direttore)
• dal 1881 al 1919: Ettore Friedländer (Direttore)
• dal 1919 al ?: Pio Piacentini (Presidente)
• dal 1919 al 1920: Salvatore Mastrogiovanni (Direttore)
• dal 1924 al 1943: Manlio Morgagni (Presidente - direttore generale)
• dal 1944 al 1944: Adelfo Luciani (Presidente - direttore generale)
• dal 1944 al 1945: Luigi Barzini (Presidente - direttore generale)
• dal 1920 al 1939: Giovanni Cappelletto (Direttore)
• dal 1939 al 1940: Carlo Camagna (Direttore)
• dal 1941 al 1943: Roberto Suster (Direttore)
• dal 1943 al 1944: Orazio Marcheselli (Direttore)
• dal 1944 al 1945: Ernesto Daquanno (Direttore)

1929 ROMA
Palazzo Wedekind
Grandi manifesti dell'agenzia sono esposti sulla balaustra. 
Nei comunicati si dà notizia del comportamento elettorale
 di Mussolini, Melchiorri, Umberto di Savoia

ERNESTO DAQUANNO L' ULTIMO DIRETTORE
 DELLA STEFANI
Ernesto Daquanno (Roma, 7 gennaio 1897 – Dongo, 28 aprile 1945)
Inizialmente nazionalista, aderì successivamente al fascismo collaborando col Regime in qualità di redattore di vari quotidiani, tra cui La Stampa. Costretto da un provvedimento del primo governo Badoglio a lasciare la celebre testata torinese, aderì alla Repubblica Sociale Italiana divenendo uno dei pubblicisti di punta del Giornale Radio-EIAR.
Direttore de Il Lavoro di Genova dal 26 gennaio al 2 giugno 1944 (giorno in cui venne sostituito da Gian Gino Pellegrini), diviene 72 ore dopo direttore della Stefani, unica agenzia di stampa legale nella RSI. Sempre nel 1944 diede alle stampe i libri” La socializzazione delle imprese” e “La socializzazione dell'Europa” . Seguendo Mussolini nel suo allontanamento da Milano, viene arrestato dalla 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" ed assassinato a Dongo dai Partigiani insieme ad altri gerarchi fascisti.


I cronisti della agenzia "Stefani" di Roma, in prima fila Manlio Morgagni